Mi sono licenziato
La storia di come ho rinunciato a un posto fisso per cercare me stesso. Altrove
Cari amici dell'orso Bruno,
A metà febbraio mi sono dimesso dal mio posto fisso: ho rinunciato a un contratto da caposervizio in un giornale nazionale. Fatti i conti con i due mesi di preavviso, arriviamo a questi giorni e a una nuova fase della mia vita.
Senza volere esagerare, il fatto di per sé sarebbe sempre notevole, ma lo è ancora di più in un mercato editoriale dove i posti fissi sono sempre meno. Sono spesso riservati a chi li ha conquistati in passato e - a differenza mia - non ci rinuncerebbe neanche sotto tortura, fino alla pensione e spesso anche dopo.
L'ho fatto senza avere una prospettiva sicura, non sono passato da un giornale all'altro, ma ho deciso di provare a inventarmi il futuro. Come ha detto nei giorni scorsi Amadeus - che però ha un paracadute più solido del mio - «è tempo di nuovi sogni».
Per molti, questo è un segno di coraggio, io preferisco schermirmi dietro alla definizione di sana (in)coscienza. "Sana" perché è una decisione presa avendo il bene di me stesso come obiettivo. "(In)coscienza" perché ci sono molte cose che potrebbero andare storte, almeno secondo il pensiero più diffuso di chi mi giudica in questi giorni (ma sono conscio di questa incoscienza).
Su questo torneremo più tardi: intanto è un piacere tornare a scrivervi, dopo un periodo in cui questa newsletter era rimasta in letargo.
L’infelicità
Comunque, la scelta l'ho presa il primo gennaio, esattamente quando si è diffusa la notizia di un parlamentare che aveva sparato durante i festeggiamenti per il capodanno. Ci stavo pensando da più di un anno, da quando certi fatti della vita mi avevano portato a ridefinire le priorità.
A fine agosto, dopo le ferie estive, mi sono reso conto di non essere propriamente felice. Ovviamente uno stipendio, i contributi per la pensione e un'assicurazione sanitaria possono essere buoni freni per qualsiasi cambiamento. Ma non sono tutto.
Anche la felicità in fondo è un concetto dai contorni sfumati: stavo facendo il lavoro che avevo sempre sognato, cosa potevo desiderare di più?
Salman Rushdie, in un libro che è uscito in questi giorni e che racconta l’attentato che lo ha quasi ucciso, cita lo scrittore francese Henry de Montherlant, secondo il quale «la felicità si scrive con inchiostro bianco su pagine bianche». «In altre parole, non la si può esprimere sulla pagina. È invisibile. Non si manifesta».
È lo stesso, forse, anche per l’infelicità? Ha connotati invisibili, che non si capisce davvero come esprimere? Fino a convincersi, per mesi, che sia solo - profonda - suggestione.
Coincidenze
Però mi sono reso conto anche che esistono momenti in cui tutti i segnali vanno in una direzione soltanto - e non era quella che avrei immaginato qualche tempo fa. La mia amica Olga mi sgrida spesso, perché tendo a razionalizzare ogni fatto della vita, senza capire che esistono coincidenze tali - lei non le chiamerebbe “coincidenze” - che vanno semplicemente assecondate.
È come se avessi passato mesi seduto al bancone di un bar, per seguire con le dita i solchi lasciati nel legno, per poi rendermi conto che la superficie era perfettamente liscia e quei solchi erano dentro di me. Alla fine ho deciso di alzarmi e uscire a vedere com’è il mondo lì fuori.
Provarci
Quando si fa un lavoro totalizzante, come può esserlo quello del giornalista, non è facile scindere la vita professionale da quella privata. Per questo anche un grosso cambiamento è sempre un intreccio fra questioni non ben distinguibili. Ma in fondo non è sempre così?
In questi giorni c’è chi mi ha scritto per chiedermi che ne sarà di me. Sono felice di questa curiosità, che talvolta è accompagnata da aspettative esagerate e talvolta da un po’ di malcelata preoccupazione. Ci sono persone lì fuori che tengono a me e questo talvolta mi sorprende.
A chi mi dice che farò «grandi cose» vorrei rispondere che mi accontenterei di fare piccoli passi, se andranno nella direzione giusta. Ma questo non significa che non abbia forti ambizioni. Questo è il mio momento, figlio del privilegio, per “provarci”. E poi come andrà a finire, lo vedremo.
Se è vero che esiste una citazione di una canzone di Taylor Swift per ogni situazione della vita, per me ora è nascosta dentro l’album Folklore: «I just wanted you to know that this is me trying. At least I'm trying».
Volevo solo che sapessi che ci sto provando. Almeno ci sto provando.
Crescere
Per essere più alla moda avrei dovuto citare qualcosa dal nuovo album di Taylor Swift, uscito alla mezzanotte di venerdì. Ma non ho fatto in tempo a cercare la citazione giusta.
So che comunque da qualche parte c’è. Perché quello che sto vivendo è la cosa più comune per ogni persona a cui capita di crescere. È la consapevolezza che esiste il momento di disattendere le aspettative, di cambiare prospettiva, di diventare altro.
In che modo, forse lo racconterò fra le righe di altre newsletter.
Ma fra una settimana sarà anche il tempo di uscire da questa parentesi autobiografica e tornare ai contenuti di un tempo, con più storie da raccontare e meno pagine di un diario virtuale,
per questo episodio è tutto,
Daniele
Disattendere le aspettative di chi?
In bocca al lupo! Come diceva Chiambretti, comunque vada sarà un successo.