Substack ha un problema
La diffusione di alcune newsletter filonaziste ha acceso il dibattito negli Stati Uniti. Alcuni autori hanno deciso di andarsene. Ecco cosa farò io
Cari amici dell’orso Bruno,
Partiamo da un fatto. Molti di voi ricevono questa newsletter direttamente nella casella email, dove talvolta la leggono, talvolta la ignorano, e tutto finisce lì. Un’altra parte di voi è già abituata a leggere le newsletter, ne segue diverse e si affida a un’applicazione per organizzare i vari contenuti.
In ogni caso, dietro alle quinte di tutto questo c’è una piattaforma che si chiama Substack. In parole molto semplici (e quindi un po’ imprecise), è come se fosse il Facebook delle newsletter: una piattaforma creata per gli autori come me, che hanno qualcosa da raccontare e che cercano semplicemente di crearsi il loro pubblico, senza altri intermediari.
Tutto questo succede soprattutto negli Stati Uniti e almeno dal 2020 (e su questo torneremo dopo), ma ora anche in Italia - con il canonico ritardo di qualche anno - le newsletter si stanno creando la loro nicchia di appassionati.
Personalmente qui su Substack sono iscritto a 80 newsletter e sono diventate uno strumento indispensabile per informarmi, crescere e divertirmi. A volte anche più dei giornali.
Cos’è successo
Ora però c’è un problema. Un’inchiesta dell’Atlantic a novembre ha scoperto che su Substack si stanno diffondendo nicchie un po’ diverse: ci sono newsletter nostalgiche del nazismo e ci sono autori suprematisti (che credono nella superiorità naturale dell’etnia bianca. Soprattutto degli “uomini bianchi”). Non solo. Substack guadagna su queste newsletter, ottenendo una percentuale se sono a pagamento.
Tutto questo - che è stato raccontato ieri anche sul Foglio da Pietro Minto (che ha una newsletter su Substack) e oggi da Charlie, la newsletter del Post sui giornali - ha creato quanto meno un problema etico. Che è peggiorato a pochi giorni dal Natale, quando uno dei fondatori di Substack ha detto che per loro la censura non può essere la risposta. Da quel momento alcuni autori molto seguiti hanno deciso di andarsene, perlopiù scegliendo Ghost, una nuova piattaforma per newsletter che invece promette di moderare con più attenzione i contenuti.
Il dibattito ovviamente si è inasprito anche perché siamo a pochi mesi dalle elezioni che potrebbero riportare Donald Trump alla Casa Bianca.
Il fatto però è un po’ più complesso. Se qualcuno pubblicasse un’opinione filonazista su un giornale dove lavoro, il giorno dopo andrei a bussare alla porta del direttore per chiederne conto. Su Substack non c’è nessuna porta a cui bussare, perché non c’è un direttore. Non c’è neanche un vero editore. Non c’è niente.
C’è solo un lungo corridoio che dalla tana dell’orso Bruno arriva fino a voi. E se scrivessi delle cazzate sarebbe un problema tutto nostro.
Substack
Ovviamente questo ha anche un lato positivo che è stato a lungo il vero pregio di Substack (e per molti versi lo è ancora). Nel 2020 la pandemia ha chiuso le persone in casa, dando loro più tempo per leggere. Da qualche parte nel mondo, meno in Italia, le persone hanno iniziato ad abituarsi a pagare, pur di leggere approfondimenti o informazione di qualità (spesso solo in digitale).
Allo stesso tempo si è diffuso un modo nuovo di lavorare, in cui anche il concetto di libertà è diventato importante, talvolta più dell’effettivo guadagno.
Substack è nato in questo contesto. Sfruttando altre tendenze già in atto nel mondo digitale, ha immaginato di dare agli autori la possibilità di costruirsi una propria comunità di riferimento. Il pubblico può invece scegliere un proprio palinsesto informativo, decidendo a quali newsletter/autori iscriversi. In un certo senso, è come se ognuno di voi potesse diventare il mecenate di qualcun altro.
Le newsletter possono essere gratuite o a pagamento. In quest’ultimo caso, Substack trattiene una percentuale del 10 per cento sui guadagni. Tutto questo è stato descritto come il paradiso dei freelance, senza più editori o limiti, senza più il bisogno di trovare una redazione a cui vendere i propri articoli, a prezzi non sempre equi. Scelgono i lettori, i lettori soltanto.
Diventare un editore
Negli Stati Uniti, alcuni giornalisti famosi hanno deciso di lasciare le testate dove scrivevano, per costruirsi il loro pubblico su Substack. In più, ci sono stati alcuni esordienti che sono riusciti a farsi notare, facendosi sostenere direttamente dal loro pubblico. In alcuni casi erano professionisti (medici, psicologi, avvocati, ricercatori, …) che volevano semplicemente divulgare il loro lavoro.
Nella primavera del 2021 si è intanto scoperto che Substack stava pagando segretamente, di tasca propria, alcuni degli autori per attirarli sulla piattaforma, con compensi dai mille ai 100mila dollari.
Lo “stipendio” veniva versato a questo ristretto (e segretissimo) gruppo di autori per il loro primo anno di iscrizione alla piattaforma, in cambio dell’85 per cento dei ricavi sui loro abbonamenti (Substack si assumeva in sostanza il rischio della fase di start up, quando ancora non si sa se una nuova newsletter andrà bene o no).
Ancora una volta c’erano autori di serie A e autori di serie B, alcuni che partivano da una protezione e quelli che accettavano il rischio. E non sempre era una questione di merito, era semplicemente una scelta - legittima ma arbitraria, come quella di qualsiasi giornale. In sostanza, Substack si stava trasformando in un editore.
Ilmondoalcontrario.substack
E già allora c’è chi ha pensato che fosse un problema. La giornalista scientifica Annalee Newitz ha scritto su New Scientist il motivo per cui ha deciso di andarsene, molto prima di altri:
«Il problema non è che ci siano degli scrittori che sono pagati e neppure quanto sono pagati. Il problema è che Substack dichiara di essere una piattaforma neutrale, ma allo stesso tempo sceglie chi finanziare. In questo modo ha gli stessi privilegi di un media tradizionale, perché può promuovere e dare più visibilità a certi punti di vista. Ma non ha le stesse responsabilità di un editore o di una redazione».
Se non altro, c’era un problema di trasparenza.
Paradossalmente, ora sta succedendo esattamente il contrario. Substack è accusata di non intervenire abbastanza per porre un freno a certi contenuti che vengono diffusi. Alla fine, per rispondere alle proteste, ha deciso di chiudere alcune delle newsletter apertamente filonaziste, ammettendo che violassero le linee guida della piattaforma.
In sostanza, in Substack si è riproposta una delle questioni più controverse nel dibattito progressista: dove va messa l’asticella della libertà di opinione? Quali sono le cose che non si possono più sostenere? E quando l’indifferenza diventa complicità?
È un dibattito molto americano, ma proviamo a tradurlo in italiano così: se Vannacci aprisse la sua newsletter su Substack, come reagirebbero gli altri autori italiani? Come reagirei io?
Chi se ne va
Casey Newton è uno dei più apprezzati giornalisti di tecnologia al mondo. Ha lavorato per The Verge e ha un podcast sul New York Times. Soprattutto, ha fatto una certa fortuna su Substack, dove ha ideato Platformer, una newsletter che analizza il rapporto fra tecnologia, social network e democrazia.
Newton è fra gli autori che nei giorni scorsi hanno deciso di migrare su Ghost, ed essenzialmente lo ha spiegato così. Substack si sta trasformando in una piattaforma che supera di gran lunga i confini delle newsletter.
Chi la usa più attivamente, può ricevere consigli su altre newsletter da seguire, oppure le può trovare semplicemente navigando sulla piattaforma. In sostanza, quel lungo corridoio di cui parlavamo prima - che dall’autore porta direttamente al pubblico di riferimento - si sta riempiendo di finestre e porticine, che possono far scoprire altre cose. Anche problematiche.
In altre parole, Substack potrebbe avere la complicità nella diffusione di certe idee, permettendo ai cospirazionisti di aumentare il loro pubblico.
Cosa farò io
Personalmente ho deciso per ora di restare su Substack, anche perché mi rivolgo a un pubblico minoritario - quello di lingua italiana - che è una nicchia da salvaguardare, curare e far crescere. Ma che non ha al momento (da quel che mi risulta) i problemi che ci sono negli Stati Uniti.
Ma sono convinto di una cosa. Che non esiste mai una totale neutralità negli strumenti tecnologici che utilizziamo. E che sì, come qualsiasi social network, anche Substack può essere utilizzato bene o utilizzato male. Per ora i contenuti controversi o apertamente problematici sono un’estrema minoranza, ingigantita nella percezione proprio da coloro che la vorrebbero osteggiare. In nessun modo questa nicchia influisce sul mio lavoro e sulle mie scelte. Non è detto che sarà sempre così, ma lo è adesso.
Su WakeUpBruno! ho deciso per un approccio ben preciso: l’approfondimento, la voglia di conoscere, l’importanza del racconto. E ovviamente un contorno di valori che sono quelli con cui sono cresciuto. Finché Substack mi permetterà di farlo in maniera serena, e qualcuno vorrà ancora leggermi, ci troveremo qui, una volta a settimana.
Ma se siete arrivati fino a qua, è giusto chiedere anche la vostra opinione.
Per questo episodio è tutto,
Daniele
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A cosa servono le newsletter
Cari amici dell’orso Bruno, Non so se capita a tutti o se è per quel giro di contatti che mi sono creato per lavoro. Ci sono però delle persone che mi scrivono ogni volta per farmi gli auguri di Natale o di buon anno. Non parlo di aziende o colleghi, ma di persone che mandano il loro messaggio e lo fanno talvolta con un tocco personale.