A cosa servono le newsletter
Dopo che un giornale locale trentino mi ha chiesto di spiegare perché ho deciso di tenere una newsletter personale, ho pensato che valesse la pena spenderci due parole anche qui
Cari amici dell’orso Bruno,
Non so se capita a tutti o se è per quel giro di contatti che mi sono creato per lavoro. Ci sono però delle persone che mi scrivono ogni volta per farmi gli auguri di Natale o di buon anno.
Non parlo di aziende o colleghi, ma di persone che mandano il loro messaggio e lo fanno talvolta con un tocco personale.
Se posso rispondo con un classico “Grazie mille, anche a te”, che è forse meno stereotipato di un “Grazie, anche a te e famiglia”. Poi per un altro anno non ci sentiremo – non sarò più parte della loro vita, loro non saranno più parte della mia. Fino al prossimo Natale.
E mi sembrerebbe scortese rispondere: «Ma tu, esattamente, chi saresti?».
Gli auguri
Così scorrendo la cronologia di whatsApp, di Facebook, si crea questa forma strana di collezione di auguri, che rimane a memoria del tempo che passa, come se fosse a tutti gli effetti un’altra tradizione. Un insieme di bit, di pixel e talvolta di immagini che vogliono pur dire qualcosa, se non altro per l’impegno che ci vuole per non rinunciare mai all’invio.
Anche se ho perso nel tempo il motivo per cui ci siamo connessi, mi fa piacere che mi scrivano, che se non lo facessero mi sentirei un po’ menomato. Perché non è tanto il fatto che cambi l’anno che importa, ma che certe cose rimangano invece solide - fisse - anche nel cambiamento.
Questo è un episodio particolare della newsletter. È il mio modo per farvi gli auguri, in attesa di tornare con gli episodi normali dalla prossima settimana (o da quella dopo se vorrò prendermi una pausa per la befana). L’augurio che vi faccio è che rimangano quelle cose a cui appendervi - gli amici, la famiglia, i libri, l’amore o una canzone - per poter poi rivoluzionare tutto il resto, se vi va.
A molti di noi serve una rivoluzione nel 2024.
Nella tana dell’orso Bruno
Ne approfitto per segnalarvi una cosa che riguarda me, ma – se seguite questa newsletter – di riflesso anche voi.
Se siete trentini, da ieri potete trovare in edicola il nuovo numero di “Trentino mese”. E all’interno c’è anche un’intervista che riguarda WakeUpBruno!.
Credo sia la prima volta nella mia vita che mi trovo dall’altra parte della barricata, nel ruolo dell’intervistato: sono abituato a fare le domande, questa volta ho provato a dare delle risposte. Ma in fondo qui non sono io che comando, è l’orso Bruno!
Ringrazio Fabio Loperfido, un giovane collega con il quale abbiamo fatto una bella chiacchierata su giornalismo, blog, precariato, fallimenti, sogni e newsletter. E se vi va di leggerla e di farmi sapere cosa ne pensate, la trovate in edicola o in digitale.
Le prime newsletter
È sempre interessante per me parlare di newsletter, visto che è un modo tanto particolare per raccontare delle storie. Per molti rimane ancora un oggetto oscuro.
Eppure la cosa più sorprendente è che le newsletter sono in realtà qualcosa di più antico persino dei giornali. Come ha scritto Rachael Scarborough King, ricercatrice nel dipartimento d’Inglese dell’Università della California, le origini si possono trovare nell’Inghilterra della prima metà del Diciassettesimo secolo.
Lo scopo era di fornire una sorta di rassegna delle notizie principali, sintetizzate in pochi fogli che venivano inviati a particolari clienti, di solito accomunati per interessi o professione.
In sostanza, erano lettere scritte a mano e personalizzate, che venivano consegnate non nelle caselle email ma agli abbonati che avevano chiesto di riceverle. La ricercatrice parla proprio di “newsletter manoscritte”, che avevano in quel tempo una certa popolarità.
Anzi, nel 1665 – quando è uscita la London Gazette, il più antico giornale britannico – non era immaginato per un pubblico indistinto. Nella prima pagina riportava questa scritta: «Stampato… per l’uso di alcuni Mercanti e Gentleman, che lo avevano desiderato».
In sostanza, era una versione a stampa – ed estesa – delle newsletter. Non sono oggi le newsletter che escono dalla morte dei giornali. Sono i giornali che sono nati sull’esempio delle newsletter. Ci stiamo solo riappropriando di qualcosa che faceva già parte della storia.
Mercanti
Come spiega lo storico dell’economia Carlo M. Cipolla, nel medioevo i mercanti erano persone poco raccomandabili.
Raggiungevano le fiere o i castelli per vendere «merci varie ed esotiche (quali stoffe orientali, oggetti di avorio, gioielli), merci indispensabili (come il sale), merci strane (come reliquie di santi, per lo più false)».
D’altronde, spiega sempre Cipolla, in un mondo dove prevaleva l’immobilismo, e c’era un legame tanto fermo con un pezzo di terra, il fatto di viaggiare – di essere dei nomadi – era visto un po’ ovunque con un certo sospetto. Vi ricorda qualcosa?
A partire dall’XI secolo però le cose hanno iniziato a cambiare, anche se in modo diverso per luoghi e tempi. I mercanti avevano iniziato a «far viaggiare le loro merci invece che viaggiare con esse».
In gran parte dell’Europa occidentale ci fu una profonda «rivoluzione sociale»: i mercanti che stavano nei gradini più bassi della scala sociale li scalarono per raggiungere il vertice.
Con il tempo si creerà una forte opposizione fra chi era nobile di nascita e chi il lignaggio se lo era conquistato con gli affari. Così le prime newsletter manoscritte erano innanzitutto uno strumento di potere: permettevano di conquistare le notizie - e più in generale avere delle informazioni era vitale per rimanere su quel vertice della scala sociale.
Almeno fino al Dopoguerra, la storia dell’informazione è stata il riflesso di questo scontro. Fra chi voleva accaparrarsi le notizie e chi aveva l’interesse opposto: tenere nascosto, censurare o mistificare.
Le newsletter oggi
Il contesto oggi è cambiato notevolmente, ma certe tendenze sopravvivono nel lungo periodo, cambiando semplicemente forma. Oggi c’è un grande frastuono. Ci sono troppe notizie – vere o false – che si mescolano fra loro. In questo rumore, le newsletter possono ritrovare un loro ruolo, come i libri e talvolta più dei giornali.
Possono essere una guida per chi non vuole accontentarsi della superficie, ma andare in profondità. L’unico aspetto (ancora) controverso è capire come tutto questo sia sostenibile economicamente (per chi dietro a una newsletter mette tempo e lavoro). Ma in fondo è un problema che riguarda l’editoria tutta.
Ci sono dei segnali. Nel 2023 è nata Appunti e nel giro di pochi mesi è diventata probabilmente la newsletter italiana più influente, con migliaia di iscritti e una buona percentuale che paga un abbonamento per riceverla. La cura Stefano Feltri, che è stato mio direttore a Domani fino alla scorsa primavera.
Anche Antonio D’Orrico - classe 1954, uno dei critici letterari italiano più influenti di sempre - dopo aver lasciato il Corriere della Sera, dove scriveva da quasi trent’anni, ha deciso di aprirsi una newsletter.
Di fronte a questi giganti, Bruno è ovviamente ancora un cucciolo. Ma nel 2023 è cresciuto molto.
Nel 2024 vorrei che rimanesse una di quelle cose solide a cui potrò appendermi, mentre intorno c’è la rivoluzione.
Per questo anno è tutto,
torneremo a incontrarci nel prossimo
Daniele
Bene. Potrai "appenderti" nella rassicurante cadenza settimanale, ma partecipa anche alla rioluzione.