Mi sono disiscritto dai social
Con il nuovo anno ho fatto una scelta dirompente: riconquistare il mio tempo offline. Ecco come sta andando
Cari amici dell'orso Bruno,
Durante le feste di Natale ho sospeso la mia iscrizione a Facebook, Instagram e TikTok, poi ho eliminato le app dal telefono. Non è la prima volta che lo faccio: mi ero già reso conto che per riposarmi davvero – quando cerco di “staccare” dal mondo – mi serviva una soluzione drastica. Come tutte le persone che hanno una forma di dipendenza, non bastava solo impormi di vivere di più la vita offline e meno la vita online. Serviva qualcosa che rendesse più complicato l'istinto a connettermi.
A inizio gennaio sono tornato sui social per condividere un video. Tornarci è facilissimo: basta rifare il login, anche per sbaglio, e tutto riprende come prima. Per disiscriversi, invece, bisogna avventurarsi fra i menù e azzeccare la combinazione giusta.
Eppure poi non è andata come sempre. A poche ore dall'Epifania, ho deciso di sospendere ancora una volta tutti i miei account e di disinstallare nuovamente le app. In altre parole, ho deciso che nel 2025 proverò a vivere la mia esperienza online al contrario: tornerò sui social ogni tanto, ma saranno delle comparsate fugaci: per vedere se c'è qualcosa di nuovo, per riconnettermi con quello che mi interessa davvero dei social. Come tutte le cose che si tentano all'inizio di un nuovo anno, non so ancora se rispetterò i buoni propositi.
Scrollisti anonimi
Mentre scrivo tutto questo, mi sembra di essere seduto in una stanza, con le sedie poste in cerchio. Accanto a me, mi guardano persone che hanno il mio stesso problema: «Ciao sono Daniele, e sono dieci giorni che non scrollo». Il punto è forse proprio questo: il fatto che nel mio uso dei social ci fosse una parte che sfuggiva al mio controllo. A volte mi fermavo al decimo video di un gattino che scivolava su una lastra di ghiaccio e mi chiedevo: «Ma che cazzo sto facendo?».
Per diverso tempo i social sono stati parte del mio lavoro. E sono ancora convinto che non si possa oggi comunicare senza conoscere, e spesso utilizzare, i social. Ma è davvero così? Questo episodio della newsletter avrà sicuramente meno lettori, perché io non lo condividerò su Facebook o su Instagram. E sapete una cosa? Chi se ne frega! Preferisco avere meno lettori, se sono davvero interessati a ciò che scrivo e sono qui per un qualche motivo, senza che li abbia catturati con l'esca di una condivisione.
In questi dieci giorni, il punto più sorprendente è stato però un altro. Mi sono accorto che questo viaggio alla scoperta della disconnessione non è soltanto mio; ho trovato altre persone che lo stanno raccontando più o meno con le mie stesse parole.
La scrittrice Carly Burr da anni si batte per promuovere il ritorno alla vita offline. Qualche mese fa ha scritto un libro, intitolato The social media shift (La svolta nei social media), proprio su questo argomento. A metà dicembre ha sintetizzato qui su Substack quello che sta succedendo:
«La reazione delle persone quando dico “Ho cancellato il mio Instagram” nel corso degli anni:
2015 - «ma perché lo hai fatto?»
2020 - «come si fa?»
2025 - «anch'io»Il cambiamento nei social media è finalmente arrivato. Sempre più persone si stanno svegliando, mettono in discussione il modo in cui ci connettiamo, spendiamo il nostro tempo e condividiamo le nostre vite. Un brindisi a chi sceglie la vita reale rispetto alle illusioni dei social. Che momento meraviglioso per essere VIVI».
In una newsletter che si chiama “Analog social”, costruita per promuovere la vita offline, ho letto questo slogan:
«Nel 2025 investi sulla tua vita sociale. Hai bisogno delle persone. Hai bisogno di comunità. Hai bisogno di meno tempo passato di fronte a uno schermo».
La svolta di Zuckerberg
In questo mi ha dato una mano anche Mark Zuckerberg, il proprietario di Facebook e Instagram, quando qualche giorno fa ha confermato la volontà di adattarsi mimeticamente alla propaganda trumpiana, smantellando il programma di “fact checking” che avrebbe dovuto garantire una qualità maggiore nei contenuti diffusi sui social.
Anche quel modello aveva ovviamente dei difetti, difetti enormi. Ma ora Zuckerberg ha deciso di nascondersi dietro al paravento della censura per facilitarsi il lavoro.
I social network sono per definizione dei contenitori mediatici, ma i loro editori si prendono tutti i guadagni senza più l'onere delle responsabilità. Non fanno delle scelte, anzi, si cibano della nostra indignazione, dei sentimenti più repressi, e soprattutto del nostro tempo. Ci drogano di dopamina per farci credere che è quello che vogliamo.
Perché?
Cal Newport è un professore di informatica alla Georgetown University e ha un dottorato al Massachusetts Institute of Technology. In un certo senso è stato un pioniere di questo discorso: nel 2013 ha scritto un blog, molto condiviso, per raccontare il motivo per cui non si era mai iscritto a Facebook. «I social erano diventati così onnipresenti che mi sentivo obbligato a giustificare la mia assenza», ha spiegato. «Sottolineai che non ne avevo bisogno perché non risolvevano nessun problema concreto della mia vita».
«La paura di perdersi qualcosa – ha scritto – non è un argomento valido per buttare via quello che già si possiede».
Nei giorni scorsi, Newport ha fatto una sorta di percorso inverso rispetto al mio: complice un'operazione che lo ha costretto a letto, ha provato a iscriversi a TikTok per la prima volta, traendone un articolo per il New Yorker.
L'articolo si potrebbe riassumere in un gigantesco: «Perché?». Perché miliardi di persone al mondo decidono di spendere così il loro tempo?
Credo che ognuno abbia la sua risposta e forse qualcuno neppure ci ha mai pensato. Per me, per anni, la motivazione ufficiale è stata questa: come giornalista che si occupa di cultura, tecnologia e media, i social erano un fantastico terreno da esplorare. Alcune delle idee migliori le ho trovate semplicemente scrollando.
Continuo a pensare che sia un lavoro interessante, perché se miliardi di persone passano così il loro tempo, allora per definizione vale la pena raccontarlo. Ora però ho deciso di passare dall'altra parte, di essere meno antropologo della follia digitale. Credo che il mondo del giornalismo se ne farà una ragione.
Ci tornerò sui social per lavoro; ma lo farò confinando bene il tempo speso così, per dare più opportunità al me stesso offline e a chi ha deciso di starmi accanto.
Trovare il tempo
Ho sempre diffidato da quelle persone che ti vogliono insegnare la vita. Ti propugnano un modello da seguire: dovresti fare il letto appena sveglio, dovresti scalare una montagna, dovresti investire i tuoi risparmi in bitcoin. Apriti un fondo pensione. Fai le analisi del sangue. Dammi tre euro per un panino.
Lasciami fare ciò che mi va! E se sbaglio, lasciami fare i miei errori, che sbagliare è ciò che ci rende vivi. Quindi no: non scriverò qui che dovreste anche voi spegnere tutto, comprare più giornali ed eliminare i vostri account su Facebook. Se è quello che vi piace fare, chi sono io per giudicare?
Pandora Sykes, che ha una newsletter sui libri, qualche tempo fa ha scritto un episodio per rispondere a chi le chiedeva come facesse a leggere così tanto. La risposta è semplice: «Perché ci sono tante altre cose che NON faccio».
Quando sento persone con figli piccoli dire che non leggono un libro da due anni e che lo vorrebbero disperatamente fare, ma non ci riescono… Io sento qualcuno che non ha bisogno di leggere per addormentarsi (beati loro). Sento qualcuno che forse preferisce scorrere il telefono, guardare Netflix ogni sera, ascoltare una serie di podcast fino a tarda notte, o cucinare qualcosa di lento e delizioso sorseggiando un bicchiere di vino, con in sottofondo della musica jazz. (Vorrei essere quella persona). Sento qualcuno, in altre parole, che ha trovato altri modi per nutrirsi.
Penso che, quando si tratta del nostro tempo libero, troviamo il tempo per fare le cose che vogliamo davvero fare. Io leggo perché è ciò che voglio fare, spesso a discapito di altre attività.
Potrei pensare di voler iniziare a fare pilates, o a realizzare una ricetta, ma in realtà “vorrei solo volerlo fare”. Troverò dei modi, come faccio sempre, per non fare le altre cose, così da poter avere il tempo per leggere. Quindi, se vuoi leggere, ti direi questo: non sforzarti. Finché trovi altri modi per nutrirti, datti un po' di tregua. Al diavolo i libri!
Tutti abbiamo cose che vorremmo voler fare. Magari, quando finalmente farai progressi con quel libro appoggiato sul tuo comodino, io mi iscriverò in palestra, e le mie abitudini di lettura passeranno un po' in secondo piano.
Un investimento
Ecco, la mia decisione di lasciare i social è semplicemente questo. È una decisione che riguarda la mia riflessione sul tempo, iniziata un po’ per caso esattamente due anni fa.
Ora ho deciso di riappropriarmi del tempo che sprecavo per qualcosa che non mi andava davvero di fare. È come se fossi passato in banca per ritirare un po’ di risparmi e adesso avessi questo gruzzolo sul tavolo, con tutta la voglia di pensare a come spenderlo.
Non so ancora come: forse leggerò davvero di più, forse imparerò a cucinare ascoltando musica jazz, forse troverò altri modi per sprecare il tempo… o forse semplicemente ci cascherò di nuovo e mi troverete in un angolo a ridere per un gattino che scivola sul ghiaccio.
Per questo episodio è tutto,
L’orso Bruno torna presto,
Daniele
Storie così mi fanno sentire meno sola. Due anni che cerco una mia soluzione. Due anni a sentirmi dire "come sei esagerata, sono solo social". Ho dovuto fare un compromesso per lavoro, ma capisco bene e grazie per le tue parole!
Grazie Daniele per la tua condivisione 🙏🏻 Ho lasciato i social definitivamente 6 mesi fa ed il mio tempo a disposizione è aumentato a dismisura come la qualità della mia attenzione, della mia concentrazione e della mia Vita in generale. È bello sapere che non si è soli in questa transizione dal mondo online a quello offline.