Perché le donne non vincono a Sanremo?
Un'analisi basata sui numeri: dalla classifica di quest’anno ai dati storici, passando per le direttrici artistiche mai esistite e il ruolo delle cantanti nel festival. È solo un caso o c’è altro?
Cari amici dell’orso Bruno,
lo so, lo so: con questa newsletter perderò sicuramente qualche iscritto. Perché c’è chi mette la mano alla fondina solo sentendo parlare del festival di Sanremo; figuratevi cosa può accadere di domenica, dopo una settimana in cui non si è parlato d’altro. E posso capirvi, visto che ho dovuto seguirne ogni secondo per lavoro e mi sento come Robinson Crusoe dopo 28 anni su un’isola deserta.
Ma la premessa che qui considero è un’altra. Parto da una polemica, cerco di verificarla e di farci qualche riflessione concentrandomi solo sui dati. Guardo alcune cifre oggettive e poi cerco di darne un’interpretazione personale, lasciando semmai la discussione ai vostri commenti, se vorrete. Forse è un metodo che può interessare anche a chi non segue il festival.
Tutti maschi
Partiamo dunque dalla questione. I primi cinque classificati di quest’anno – Olly, Lucio Corsi, Brunori SAS, Fedez e Simone Cristicchi – condividono una caratteristica: sono tutti maschi. Scorrendo la classifica, la prima donna è Giorgia (sesta), per trovare le altre bisogna scendere ancora. Decimi sono i Coma_Cose, che sono una coppia donna-uomo, nella vita e nel gruppo. Elodie è dodicesima e Noemi tredicesima.
Ora, fingiamo di dividere a metà la classifica dei 29 cantanti, considerando i primi 15 da una parte e gli ultimi 14 dall’altra. Consideriamo quante sono le donne e quanti gli uomini da una parte e dall’altra.
Nella parte alta della classifica c’è il 75% di presenza maschile e il 25% femminile. Nella parte bassa della classifica la percentuale femminile è del 57%, quella maschile del 43%. Gli uomini hanno una posizione media di 12,3, mentre le donne hanno una posizione media di 19,5.
La tendenza
Guardando a questi dati, sembra emergere una tendenza del festival di Sanremo a valorizzare maggiormente gli artisti maschili, oppure che il pubblico e le giurie abbiano una preferenza per le loro performance. Ovviamente va anche considerato che le donne in gara erano di meno rispetto agli uomini (18 contro 12, sempre contando doppio i Coma_Cose). Ma la loro distribuzione tende comunque a concentrarsi verso il basso.
E la polemica sta tutta qui: nel festival sembra ci sia un gap di genere, che tende a favorire gli artisti maschili. Ma è solo un caso o una tendenza? Per rispondere a questa domanda sono andato a prendermi i dati di tutte le edizioni di Sanremo, dalle origini ai giorni nostri. Ho considerato i primi cinque classificati e il loro genere (per chi vuole controllare, la mia tabellina excel artigianale è qui).
Qui sotto c’è tutta una descrizione che potremmo dire metodologica e di descrizione dei dati; più sotto qualche ipotesi di commento.
Un confronto difficile
Ovviamente un confronto su larga scala deve tenere conto di varie differenze che ci sono state nel tempo. I primi anni pochi interpreti si dividevano le canzoni. Nella prima edizione, nel 1951, hanno partecipato Nilla Pizzi, il duo Fasano e Achille Togliani che si sono divisi le 20 canzoni proposte.
Nella seconda edizione, Nilla Pizzi è arrivata prima, seconda e terza (ed è un caso unico). Si è diffusa poi l’abitudine di affidare le canzoni a due diversi interpreti, spesso (ma non sempre) affiancando un artista internazionale a quello italiano. In altri casi la classifica si è limitata al podio, come nel 1974 quando – dietro Iva Zanicchi, Domenico Modugno e Orietta Berti – sono arrivati gli altri, tutti a pari merito.
Nel tempo sono cambiate anche le modalità di voto. Dalle giurie di qualità al voto popolare, espresso prima con le schedine del Totip e infine con gli sms. Ma – prendendo a cuore l’ipotesi che la società sia talmente pervasa dalla disuguaglianza da lasciarne traccia nella classifica di un concorso canoro –, ci aspetteremmo che questo sia successo spesso, soprattutto quando l’impostazione patriarcale in Italia era un assunto con pochi oppositori. E, spoiler, in effetti c’è qualcosa di vero.
I dati
Cosa ho fatto, dunque? Ho schedato i primi cinque classificati di ogni edizione, contando pure i secondi interpreti quando presenti. E li ho divisi fra uomini o gruppi esclusivamente maschili; donne o gruppi esclusivamente femminili; e gruppi misti, con componenti di entrambi i generi. Nella storia del festival non esiste, finora, la vittoria di una persona dichiaratamente non binaria.
Secondo i miei calcoli, nella storia del festival i vincitori maschi sono stati la grande maggioranza (64 per cento, rispetto al 30 per cento femmine e 6 gruppi misti). Se si considerano i primi cinque classificati, cambia poco (63, 33 e 4 per cento).
Si potrebbe supporre che le edizioni del passato abbiano influenzato il dato finale. Prendiamo allora solo le ultime venti, le più moderne. La situazione peggiora sia fra i vincitori (78 per cento maschi, 17 per cento femmine e 4 per cento gruppi misti) sia nella top five (77, 22 e 1 per cento).
E nelle quattro edizioni di Carlo Conti? Non ci sono mai state vincitrici femminili. Hanno vinto Il Volo (2015), gli Stadio (2016), Francesco Gabbani (2017) e Olly (2025). Che sfortuna.
Esempi
In effetti l’edizione di quest’anno non è affatto un caso isolato; nel 2023 Marco Mengoni aveva sollevato il caso, vincendo in una top five tutta maschile. Esistono anche precedenti di segno totalmente opposto, ma sono molto rari: nel festival del 1975, le prime cinque classificate sono state tutte donne. Nell’ordine: Gilda, Angela Luce con Rosanna Fratello, Valentina Greco e Laura. Nel 1998 le prime cinque sono state Annalisa Minetti, Antonella Ruggiero, Lisa, Paola Turci e Silvia Salemi
Nel 1976, la top five è stata invece quasi solo maschile, con Peppino di Capri, Sandro Giacobbe, gli Albatros (il gruppo di Toto Cutugno) e Paolo Frescura. Ma terza è arrivata Dori Ghezzi (in coppia con Wess, un cantante, maschio, statunitense).
Nel 1977, in piena epoca di successo dei gruppi musicali, la classifica si è limitata al podio: nell’ordine gli Homo Sapiens, i Collage e i Santo California hanno solo componenti maschili. Così anche nel 1980 (Toto Cutugno, Enzo Malepasso e Pupo). Tutti maschi anche nel 1979 (con Mino Vernaghi, Enzo Carella, i Camaleonti e i Collage). E nel 1982 (Riccardo Fogli, Drupi, Giuseppe Cionfoli e Christian), con la sola Romina seconda insieme ad Al Bano per Felicità.
Stesso caso nel 1987, tutti maschi (Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi, Toto Cotugno, Fausto Leali e Peppino di Capri), tranne Romina con Al Bano. Top five maschile ancora nel 1991 (Riccardo Cocciante, Renato Zero, Marco Masini, Umberto Tozzi, Pierangelo Bertoli e Tazenda). E nel 2007 (Simone Cristicchi, Al Bano, Piero Mazzocchetti, Daniele Silvestri e Mango). E nel 2009 (Marco Carta, Povia e Sal Da Vinci). E nel 2010 (Valerio Scanu, Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici e Marco Mengoni). E nel 2020 (Diodato, Francesco Gabbani, Pinguini Tattici Nucleari, Le Vibrazioni e Piero Pelù).
Nel 1992 Mia Martini (seconda con Gli uomini non cambiano) è la "quota rosa" fra i maschi (Luca Barbarossa, Paolo Vallesi, Pierangelo Bertoli e Massimo Ranieri). E così succede anche molte altre volte, quando capita che ci sia un’unica donna a fare da eccezione in un caleidoscopio maschile.
Conclusioni
Veniamo dunque alle considerazioni finali. Il tema generale è molto complesso. A essere raffinati, e anche più precisi, bisognerebbe superare il concetto quantitativo e passare a quello qualitativo, valutando il ruolo delle donne a Sanremo in uno specchio più ampio. Banalmente: non basta dire quante donne ci sono, ma anche il ruolo che rivestono e di quale immaginario sono espressione.
Sarebbe interessante vedere il ruolo delle donne nelle diverse edizioni del festival, per capire come ne è mutata la percezione. Certo, si potrebbe dire che Sanremo non è la vita vera; ma potrebbe comunque essere uno specchio di qual è il ruolo femminile in un’industria importante come quella dello spettacolo (e della musica). E questo è secondo me il punto fondamentale.
Stamattina, mentre facevo colazione poco prima di pranzo, ho ascoltato per caso Marta Cagnola (giornalista di Radio24 e del Sole 24 Ore) fare qualche considerazione sulle concorrenti di quest’anno. Ha detto che praticamente tutte – Gaia, Clara, Elodie, Rose Villain, Sarah Toscano – rappresentavano un modello sovrapponibile, fortemente estetico, con canzoni pure molto simili, con tonalità, suoni e produzioni praticamente identiche. Per non parlare poi dei testi e dei temi trattati.
Forse il problema è innanzitutto questo: la discografia italiana sembra avere un unico modello in mente, quando pensa a una cantante.
Inutile dire che a livello internazionale è diverso; solo considerando alcune fra le pop star più importanti – Taylor Swift, Beyoncé, Billie Eilish, Dua Lipa, Sabrina Carpenter, Ariana Grande, Charli Xcx, Lana Del Rey, Chappell Roan, Lola Young, … – sono tutte distinguibili e con una loro personalità ben definita. Arriverà anche in Italia prima o poi questa ondata?
Il gender gap
Tornando a Sanremo, se ci ostinassimo a negare l’evidenza, potremmo dire che in 75 anni le canzoni più belle sono state, per puro caso, quelle degli uomini (ma sarebbe poco credibile). O potremmo sostenere che è naturale che ci siano più vincitori maschi, se nella storia ci sono state meno donne a Sanremo (ma questo sarebbe comunque parte del problema).
La realtà potrebbe essere invece influenzata dal fatto che il mestiere di cantante, in Italia, è come altre professioni caratterizzato da un diffuso “gender gap”. Infine, c’è un’idea ancora più inquietante: che comunque, quando c’è una competizione, si tende in genere a preferire gli uomini alle donne. Sarà mica per questo che le posizioni di potere sono quasi sempre in mano agli uomini?
Direttrici artistiche
Lascio a voi ogni valutazione su tutto questo, compresa la rilevanza di questa piccola indagine. Ma chiudo con altri dati. La responsabilità ultima del festival di Sanremo è sempre della direzione artistica, che decide anche chi sono i cantanti, gli ospiti e più in generale che tipo di spettacolo si vuole proporre.
Nella storia del festival, in alcuni casi la direzione artistica coincide con il conduttore (come per Carlo Conti) e in altri casi no. Ma sapete qual è la caratteristica comune in 75 anni? Sì, lo avete indovinato.
Le uniche due donne che hanno ricoperto il ruolo di direttrice artistica del Festival di Sanremo sono state Carla Vistarini (nel 1997, insieme a Pino Donaggio e Giorgio Moroder) e Sandra Bemporad (nel 2000, insieme a Luis Bacalov, Sergio Bardotti ed Enrico Silvestrin). Entrambe hanno ricoperto il ruolo in team con uomini, e nessuna donna ha mai avuto la direzione artistica in solitaria. In altre parole, in oltre 70 anni di Festival, nessuna donna ha mai avuto il pieno controllo artistico della manifestazione.
Vogliamo fare un discorso di percentuali? 97,96% uomini, 2,04% donne. Come si fa a sostenere che non sia un problema?
Per questo episodio è tutto,
Bruno torna presto
Daniele
Tutto molto interessante, ma manca una variabile fondamentale (che non viene citata perché i dati non sono disponibili) ovvero il genere di chi televota. Non è che forse vincono di più gli uomini perché a votarli sono spesso le donne, dato che i cantanti maschi si rivolgono con la loro musica a un pubblico femminile? Con l'eccezione di Angelina Mango, sfido chiunque a negare che le canzoni vincitrici delle più recenti edizioni (vinte da maschi) fossero destinate a un pubblico prettamente femminile: Marco Mengoni - "Due vite" (Mengoni ha una fan-base notoriamente femminile), Mahmood e Blanco - "Brividi" (due bonazzi che attirano inevitabilmente un pubblico femminile), Måneskin - "Zitti e buoni" (idem come sopra). Per non parlare di quest'anno, Olly, un vincitore che non comprendo personalmente se non per il fatto che potrebbe stuzzicare i pruriti erotici di un pubblico femminile giovane.
Quindi, non sarà che forse le donne sono le prime a mettere al primo posto gli uomini? Detto in altri termini, non è che forse la musica pop è destinata principalmente a un pubblico femminile?