Ma davvero i ragazzi hanno iniziato a parlare in corsivo? E cosa significa?
Una tendenza nata su TikTok è stata ricondivisa (e molto criticata) su tv e giornali. Eppure potrebbe essere il modo migliore per capire come funzionano i social più moderni
Cari amici dell’orso Bruno,
Forse la soddisfazione maggiore da quando è comparsa questa newsletter è il fatto che un paio di voi mi abbia scritto, domenica scorsa, per chiedermi come mai non fosse arrivata (giuro che è successo: non me lo sto inventando!). Quindi serve una premessa: ho saltato un turno perché ero a Modena, alla festa del giornale. E non era semplice risvegliare Bruno fra una bottiglia e l’altra di Sorbara.
Per farmi perdonare riciclo un consiglio (copyright Mattia Ferraresi, caporedattore modenese di Domani) e vi suggerisco di andare alla Trattoria Bianca, se mai vi capitasse di girare per Modena.
Ho imparato tre cose:
che per arrivarci bisogna superare un cavalcavia, che però non va fatto a piedi, perché per i modenesi è una cattiva abitudine, indice di degrado sociale.
Che i tortellini si mangiano anche e soprattutto in estate, quando fuori si superano i trenta gradi.
E che l’estasi si raggiunge con lo gnocco fritto, un rombo di pasta fritta che serve ad accompagnare i salumi (definizione copyright Sonia Ricci, curatrice dello speciale Cibo di Domani). Ma va mangiato così: adagi l’affettato nel mezzo e chiudi lo gnocco fritto come se fosse un libro. Se fai diversamente, sei un poser della cucina emiliana.
Dice sempre Sonia: “Molta della cucina emiliana è legata al Lambrusco, se ci pensi l’untuosità del fritto e la sapidità dei salumi vengono “sgrassati” dalle bollicine del vino frizzante”.
Io ci penso e mi è venuta fame. Voi compratevi lo speciale Cibo in edicola e contribuite al nostro stipendio.
Dopo questa introduzione potrei forse chiudere la newsletter, tanto non posso scrivere nulla di più interessante. Ma c’è una cosa di cui si parla da qualche giorno e che riguarda un fenomeno nato su TikTok, spesso accompagnato da un certo numero di fraintendimenti. Non ce la faccio a non dire la mia, nel solito modo: risvegliando Bruno!
I ragazzi non stanno bene (e hanno iniziato a parlare in corsivo)
In ogni gruppo ristretto si sviluppano dei codici interni: sono un insieme di formule che derivano di solito da episodi di vita vissuta e che assomigliano in un certo senso ai fastidiosissimi tormentoni che usano i comici da cabaret. Se poi succede che questi “codici” si sviluppano in una redazione, possono avere un riflesso anche sul giornale.
Ovviamente senza che i lettori se ne possano accorgere: basta anche solo una parola - proprio quella parola - in un titolo o in una didascalia, che diventa una sorta di messaggio interno agli altri colleghi. In fondo ci si diverte con poco.
Questi codici interni non si possono decifrare se qualcuno li guarda da fuori. Ed è poi il motivo per cui non è sempre facile inserirsi in un gruppo già formato, in una compagnia di amici o, appunto, in una redazione. Ma se c’è un posto dove tutto questo è elevato all’ennesima potenza, ovviamente non è un posto di lavoro ma la scuola.
In una fase della vita in cui i ragazzi crescono e hanno bisogno di trovare una loro identità, spesso ci si sente davvero realizzati inventando un proprio gergo. E magari anche un modo tutto nuovo di parlare: provate a tornare indietro nel tempo e sono sicuro che vi verrà in mente qualcosa dal vostro passato.
Dove nasce il corsivo
Solo in questo modo si dà un senso alla versione in corsivo della lingua parlata, un tema che forse è sfuggito a molti di voi che mi leggete (lo spero), ma che è stato comunque molto discusso su giornali, radio e tv nelle ultime settimane.
Di solito lo si racconta con una certa spocchia generazionale, è stato presentato come l’ennesima deriva di questi ragazzi, che si sono inventati anche questo per attentare al nostro modo di vivere. Il corsivo sembra sia l’ultima prova che loro sono peggio di noi (spoiler: non è vero, alla loro età eravamo esattamente uguali. Solo che non avevamo i social).
Il corsivo è un modo distorto di parlare (o cantare) che sembra in qualche modo ricordare certe inflessioni dialettali estremizzate. Si ottiene allungando le vocali, strascicandole un poco e trasformandole talvolta in dittonghi, soprattutto in coda di parola. Ancora meglio: va accompagnato da un’intonazione vagamente nasale, che ricorda certi usi massicci degli effetti vocali nella musica trap. Su TikTok - il social dominato dalla fantomatica Generazione Z - ci sono ragazzi che parlano in corsivo da mesi.
Chiara Marita - appena maggiorenne e 239mila follower - è stata fra le prime. In un video di questi giorni spiega che è nato tutto durante il suo anno all’estero, in Germania, in pieno lockdown.
“Avevo bisogno di inventarmi qualcosa perché sennò uscivo di matto, allora ho fatto questi video - spiega -. Io ho sempre fatto questa parlata quando cerco di imitare qualcuno e i miei video sono praticamente solo imitazioni”. “Non credevo che potesse far nascere delle polemiche, perché alla fine il corsivo deve solo far divertire, non deve far irritare”.
Marita è forse davvero la madre del corsivo. Qualcun altro ne trova invece la genesi in Spigoli, una canzone di Carl Brave, Tha Supreme e Mara Sattei, che su TikTok era diventata un trend in una sua versione distorta.
Una frase della canzone: “E siamo soli a parte il cane / a parte il quadro, quello orrendo, di tua madre” veniva modificata con un filtro vocale, che appunto allungava e distorceva in maniera innaturale le vocali.
Per ridere
Come spesso succede, risalire alle radici di un fenomeno social non è semplicissimo e ci sono più genitori putativi. Quello che però è facile da capire è che si tratta di un grande divertimento collettivo: “una cosa ironica”, come dice Marita. Una macchietta. E un codice interno a una generazione che chi sta fuori può faticare a comprendere.
Qualche settimana fa è però successo che un video recitato in corsivo è uscito dal suo contesto originale ed è stato notato da chi ha qualche anno in più sulle spalle. Il corsivo non è stato capito e qualcuno ha pure pensato che fosse seriamente un modo tutto nuovo di parlare. Questi ragazzi si sono prima ribellati all’uso dei pronomi personali per identificare la loro identità di genere. Ora si ribellano anche alla pronuncia delle vocali. Dannati!
La professoressa di corsivo
Ci ha messo del suo l’autrice di quel video. Si chiama Elisa Esposito, appena maggiorenne e 834mila follower. Prendendo in giro gli insegnanti che usano TikTok (ce ne sono molti), da qualche tempo si era inventata il personaggio di una professoressa particolarmente disinibita. Una sorta di Edwige Fenech 2.0.
Molti dei suoi video erano delle finte lezioni, in cui fioccavano i doppi sensi e le allusioni. Con una risvolto ancora più esplicito nel profilo che ha aperto su OnlyFans (social hard di cui ho scritto in un altro episodio di questa newsletter).
Lei non è ovviamente una vera insegnante, anzi coltiva il sogno di aprire un centro estetico e intanto sfrutta la notorietà sui social appoggiandosi a un’agenzia.
Il video che l’ha resa famosa è una finta lezione di corsivo, in cui vengono alternate parole pronunciate normalmente e altre in modo alterato. Con una comprensibilissima ingenuità ha cercato di cavalcare il fenomeno, fino a quando si è ritorto contro di lei. Ospite di Rds, le hanno fatto un agguato, chiedendole chi avesse scritto i versi: “Nel mezzo del cammin di nostra vita · mi ritrovai per una selva oscura · ché la diritta via era smarrita”. L’insegnante di corsivo non ha saputo rispondere.
In questo modo ovviamente ha dato l’assist per ogni idiosincrasia nei confronti del corsivo e centinaia di insulti rivolti a lei direttamente. È stato molto meno ricondiviso un altro video, in cui Esposito ha cercato di spiegare il suo punto di vista:
“Credo che sia esagerato insultarmi pesantemente solo perché parlo corsivo. E poi io parlo così su TikTok per scherzare, nella vita reale penso sia logico che io non parli così”. “Sono conosciuta come la prof del corsivo, ma è un personaggio”.
È inquietante che lo abbia dovuto esplicitare.
I nuovi social
Ma forse c’è davvero un insegnamento che si può trarre da questa storia e non è linguistico. Riguarda più le dinamiche dei social contemporanei e la vita in cui si trovano immersi gli adolescenti di oggi. Con i suoi risvolti positivi e negativi.
Torniamo dunque alla considerazione dei “codici linguistici” che nascono all’interno di un gruppo di persone. Ecco, il corsivo ci ha insegnato che i gruppi non sono più così ristretti. Quello che nasce su TikTok rischia di contagiare un’intera generazione, diventando poi così pubblico da generare un ammasso di fraintendimenti. E situazioni potenzialmente dannose se non sono comprese e governate.
Le dinamiche che una volta restavano chiuse in una classe a scuola, ora rimbalzano fino a coinvolgere migliaia di ragazzi, che all’improvviso seguono tutti lo stesso modello.
Un tempo i social connettevano fra loro persone che avevano un qualche punto in comune: o si conoscevano di persona, o in qualche modo erano legati dagli stessi interessi. Ora TikTok - e gli altri social che lo imitano - sono generatori di tendenze, dove il punto di connessione è semplicemente la spinta data da un algoritmo ben poco trasparente. E le persone diventano parte attiva solo se riescono a farsi notare, nell’insieme di contenuti condivisi.
Questa volta è successo al corsivo: una moda un po’ cringe (come si usa dire, con un vero neologismo), che passerà insieme all’estate. Ma intanto qualche altro ragazzo sta cercando di uscire dal suo angolo di anonimato. Cosa potrebbero essere spinti a fare, alcuni di loro, pur di diventare un giorno famosi come la professoressa di corsivo?