L'attacco di un'orsa
In Trentino un'orsa ha ferito un turista per difendere i suoi cuccioli. Dietro a un gesto apparentemente naturale si nascondono anni di contraddizioni, che è sempre più difficile districare
Cari amici dell’orso Bruno,
quello che state leggendo è l’ultimo episodio di questa newsletter prima di una piccola pausa estiva. Credo molto nell’idea di lavorare un po’ di meno per qualche settimana: è il modo migliore per riuscire a rilanciare anche un progetto come questo. Ma anche per ricaricare quella energia creativa, che come qualsiasi aspetto della natura umana tende a risentire della stanchezza.
La newsletter non uscirà dunque per tutto il mese di agosto, ma tornerà a settembre – presumibilmente il 7 di settembre - con quella che definirei la sua “quarta stagione”.
Ho qualche idea da lanciare, anche sulla base dei consigli che mi avete dato tempo fa in un sondaggio (chi non ha partecipato lo può fare qui - vi chiedo cosa pensate della newsletter e ogni consiglio mi è utilissimo).
Grazie per ogni commento che mi avete inviato, ma anche per la decisione – che molti di voi continuano a ripetere a ogni episodio – di leggermi,
buona estate!
Daniele
Cari amici dell’orso Bruno,
Il fatto di avere un orso come simbolo e il fatto di chiamarvi tutti sempre e comunque “amici dell’orso Bruno” mi rende complice di quella grande narrazione che tratta gli animali come “miti” e che quindi confonde le favole con la realtà. Ma nella realtà di orsi si parla sempre di più e lo si fa di solito con toni poco concilianti.
A me interessa l’argomento non solo perché vivo in Trentino e non solo perché, in effetti, ho una newsletter che si chiama così. Il tema è appassionante come tutti quelli che sfidano il proprio confine etico. Anche chi è fortemente a favore della natura può vacillare di fronte a certi episodi di cronaca.
Allo stesso tempo chi invece fatica a capire il modo in cui gli orsi sono stati reintrodotti può accettare il fatto che non per forza la natura debba essere accogliente e che il rispetto dell’ambiente possa significare una ridefinizione dei propri comportamenti.
Il punto è che questo modo conciliante di vivere le questioni, che significherebbe anche aprire il dibattito a chi la pensa diversamente, e forse magari persino cambiare idea sulla base delle contingenze, è un modo decisamente minoritario di vivere la questione.
Quello che vince è sempre una polarizzazione del tema: essere da una parte o essere dall’altra. Se ci pensate gran parte delle questioni le viviamo così: l’evoluzione della tecnologia; una qualsiasi elezione; persino il concerto di Taylor Swift o la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi.
Vivien
È un fatto che ha sorpreso particolarmente Vivien Triffaux, lo psicologo di 43 anni che un paio di settimane fa è stato aggredito da un’orsa, mentre marciava in un sentiero in Trentino. Non avendo vissuto prima questo dibattito, si è stupito di quello che è successo dopo, mentre si trovava nel letto di un ospedale a Trento.
Non si aspettava – mi ha raccontato – la sfilata di politici locali, con il loro bagaglio di voti che pesavano sulle spalle, perché comunque se sono stati eletti lo devono anche alle loro posizioni sugli orsi.
Non si aspettava nemmeno l’interesse di tanti giornalisti, il mio compreso. O meglio: capiva benissimo che un turista ferito da un animale selvatico fosse una notizia, ma non pensava che attorno ci fossero tante questioni politiche, economiche, turistiche,…
Gli sarebbe bastato, in questi giorni, fare un giro sui social network e raccogliere le centinaia di insulti che si è preso da perfetti sconosciuti, per la sua colpa di essere stato nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, vivendo un trauma che lo segnerà per il resto della vita.
La politica
In realtà questo turista francese mi è sembrato molto più moderato di chi si professa amante della natura (evidentemente animale, non umana). Non ha voluto diventare il simbolo della rivolta anti-orso; anzi ha detto di essere ora più consapevole di quanto lo fosse due settimane fa, quando forse un po’ ingenuamente si è messo a marciare all’alba, da solo, su un sentiero dove la presenza dell’orso è ben segnalata.
Ha detto che bisognerebbe ridiscutere sull’intero rapporto fra uomo e natura, ma è una discussione che richiede tempo e approfondimenti, persino – quello che segue lo dico io – accettare che le posizioni possano essere diverse e che ci possano essere interessi opposti in campo, ciascuno con la sua dignità da pesare, fino ad arrivare a una scelta meditata e consapevole.
Ci vorrebbe un po’ di politica, in altre parole (dico sempre io). Ma non è facile quando la politica è in realtà già uno degli attori in campo, ma sembra incapace di alzare il livello del dibattito e sembra solo il megafono di una delle parti coinvolte. Anche se fosse quella che ha ragione.
Due modelli
Il punto è che in Trentino si sono scontrati anni fa due modelli di gestione del territorio. Quello della grande promozione turistica di massa, che ha portato ricchezza e in un certo senso anche modernità. E quello del grande ritorno alla natura, con appunto progetti di ripopolamento selvatico e di protezione ambientale.
Venticinque anni fa l’idea era che questi due aspetti potessero coesistere, anzi persino alimentarsi fra di loro. L’orso era diventato un grande volano turistico.
Però tutta la comunicazione ne dava un’immagine abbastanza stereotipata. Non c’era mai una condivisione di quelli che fossero gli effetti collaterali di questa convivenza, specie in un territorio così ristretto, dove i confini del bosco e quelli dei paesi non sono troppo evidenti.
Le aggressioni
Eppure tutto quello che è successo era già lì, ben presente, nello studio che ha riportato gli orsi in Trentino (e che ancora si può trovare online), nel capitolo che trattava le possibili aggressioni. Anche se la realtà è andata persino un po’ oltre rispetto alle previsioni degli zoologi.
«L’orso bruno, tra i grandi carnivori del paleartico, è uno dei maggiori responsabili di attacchi all’uomo», si legge. «Il fatto che in Italia non siano state registrate aggressioni negli ultimi secoli è probabilmente da mettere in relazione ai particolari adattamenti comportamentali degli orsi alla forte antropizzazione del territorio italiano, che ha probabilmente selezionato un comportamento più elusivo».
«È prevedibile che orsi catturati in Slovenia e rilasciati in Trentino mostrino un comportamento meno elusivo».
In altre parole, gli esperti avevano già previsto quello che è effettivamente successo. Che il ripopolamento dell’orso in Trentino avrebbe portato a una serie di problemi, che quanto meno qualcuno – a un certo punto – avrebbe dovuto iniziare a comunicare e a governare. Certo, lo avesse fatto da subito sarebbe stato molto meglio.
Il valore dell’orso
E invece sembra che sia successo esattamente il contrario.
Da questo punto di vista, una delle letture più illuminanti è un libro intitolato Un uomo tra gli orsi, scritto da Andrea Mustoni, lo zoologo che era il coordinatore del progetto Life Ursus, che sul finire degli anni Novanta ha riportato l’orso in Trentino. Fa capire bene l’entusiasmo per il progetto, il suo carattere avveniristico, le contingenze che lo ha portato a compimento, la sua validità scientifica. E pure qualche ingenuità di troppo che ha avuto enormi conseguenze.
A un certo punto Mustoni scrive:
«Molti mi chiedono perché l’orso sia stato reintrodotto anche a fronte della possibilità che aggredisse delle persone, come esplicitato nello studio di fattibilità».
«Sinceramente non lo so. Penso che per alcuni degli amministratori chiamati a partecipare al processo decisionale si sia trattato di un processo inconsapevole, o addirittura della sottovalutazione dei rischi connessi alla pericolosità dell’orso».
«Per altri, più attenti, è stato un pesare i pro e i contro; la consapevolezza che, a fronte dei rischi descritti nello studio di fattibilità e dell’evidenza di quanto accaduto in altre zone di presenza della specie, si correvano rischi anche nel lasciare estinguere la popolazione autoctona. Per comprendere questa posizione si deve pesare il valore dell’orso inteso nella completezza della sua presenza, sia ecosistemica, sia culturale».
Cos’è successo
Ho avuto l’occasione di entrare un poco in confidenza con Triffaux, per quanto si possa fare in un contesto professionale in cui il mio obiettivo era essenzialmente raccontare quello che gli era capitato, perché pensavo fosse di interesse pubblico.
All’alba di un martedì qualsiasi di fine luglio si trovava su un sentiero di montagna, a poche centinaia di metri di distanza dal paese dove va in vacanza, ogni estate da quando era piccolo. È lì che ha incontrato Kj1 con i suoi cuccioli.
Si è buttato a terra coprendosi la testa e il collo con le braccia, come dicono di fare in queste occasioni. Lei lo ha morso e lo ha graffiato. Lui è riuscito a rialzarsi e a scappare un poco. Lei prima lo ha inseguito in modo aggressivo, poi ha capito che non era più un pericolo e se ne è andata.
Il peso
Tutta la cronaca si limiterebbe a questo, a pochi secondi di un incontro casuale. Ma ci sono vicende che portano dentro di sé il peso di un territorio, si potrebbe dire persino il peso della storia, e riassumono in un momento – in un gesto che è insieme naturale e così innaturale – anni di errori, anni di sogni infranti, anni di calcoli sbagliati e persino la storia di una vita spezzata.
L’immagine di un orso è così carica di stereotipi che verrebbe voglia di smontarli un poco. Ma in questa parte del mondo non si riesce, anzi tutto sembra fatto apposta perché succeda il contrario, perché tutto si carichi di significati e finisca per fomentare lo scontro.
Tutto sembra costruito perché le cose possano andare male.
Per questo episodio e per questa stagione è tutto,
torneremo a settembre,
Daniele
Al di là della questione "orso" (complessa certo), a me fa davvero paura il tasso di aggressività verbale e non solo che caratterizza il nostro presente. Rabbia e rancore da ogni parte.