Lo sparo a Trump e i colori della storia
Episodio con un’intro scritta al volo dopo quello che è successo questa notte. E poi una riflessione su come ogni epoca abbia le proprie tonalità e come i colori possano diventare un’ossessione
Cari amici dell’orso Bruno,
Capita raramente di vedere una foto e sapere da subito che diventerà parte della storia. È successo questa notte (italiana) quando Trump si è alzato dal palco, dove era stato colpito di striscio da un proiettile. Con il volto semi sanguinante, e con un’espressione che è difficile capire se fosse più rabbiosa o più spaventata, si è rivolto alla folla e ha alzato il pugno.
Quando ancora non si sapeva quali fossero le condizioni dell’ex presidente (poi si è saputo che stesse bene), ho pensato a un libro che ho letto ormai un paio di anni fa. Si chiama Come iniziano le guerre civili (How civil wars start di Barbara F. Walter, purtroppo non mi risulta che esista una traduzione italiana) e per certi versi anticipa alcuni temi di profonda attualità. Ancora di più dopo questa notte.
Stiamo vivendo un periodo difficile, in cui forse la democrazia non è davvero in pericolo, ma di sicuro non se la passa bene. Il volto sanguinante di Trump è l’immagine emblematica che sottolinea il rischio di una deriva (ancora più) violenta del confronto politico. Ovviamente non è che sia del tutto una novità negli Stati Uniti (Ronald Reagan e Theodore Roosevelt sono stati feriti in passato e di J. F. Kennedy sapete tutti), ma è comunque un’ombra inquietante in una campagna elettorale già molto polarizzata.
L’Atlantic in un editoriale di David A. Graham ha scritto che in questo contesto, «la nazione ha disperatamente bisogno di una leadership prudente e saggia». Riusciranno Trump (che è Trump) e Biden (con il peso degli anni) ad essere all’altezza del compito?
Il risultato più probabile è che lo sparo non avrà l’effetto di calmare i toni, ma al contrario di estremizzare ancora di più la retorica di Trump. Perché è ovvio: fra i due candidati solo uno può trarre beneficio da quello che è successo questa notte.
Come ha scritto Mattia Ferraresi su Domani:
L’immagine di Donald Trump che emerge dal capannello degli uomini del Secret Service con l’orecchio sanguinante e agitando il pugno chiuso grida per tre volte “fight!” è l’icona istantanea del candidato che incassa un anticipo della sua rivincita.
Avrebbe potuto rialzarsi agitando direttamente le chiavi della Casa Bianca, perché è da quelle parti che lo spinge di nuovo l’orribile attentato (…).
Se questi temi vi interessano, di quel libro sulle guerre civili avevo scritto nel secondo episodio di questa newsletter, nel maggio 2022 (qui). Ovviamente tenete presente che alcuni riferimenti sono un po’ datati, ma forse le considerazioni generali sono ancora più attuali.
A proposito di immagini che fanno la storia, e adesso entriamo nell’argomento vero di questa newsletter, qualche tempo fa è uscito su Netflix un documentario sulla Seconda guerra mondiale… a colori. Ovvero con le immagini di repertorio che sono state restaurate e appunto colorate, per dare una nuova veste alla storia di quello che è successo.
In effetti il colpo d’occhio è talvolta spettacolare, ma la sensazione è comunque fin troppo straniante. Ad un certo punto sembra quasi di vedere un film e non un documentario. Chi è quell’attore che interpreta Adolf Hitler?
Il fatto è che il nostro cervello si è abituato a vedere certe immagini in bianco e nero. Questo non significa – ovviamente – che non sappiamo che il “bianco e nero” è un artificio dettato dalla tecnologia e che il mondo fosse colorato anche all’inizio del Novecento, ma la nostra percezione dei fatti è inesorabilmente influenzata dall’abitudine di associare certe immagini all’assenza di colori.
Mentre scrivo davanti a me c’è un libro dello storico Peter Longerich su uno dei discorsi più importanti di Joseph Goebbels e la copertina è ovviamente in varie tonalità di grigio, in una resa cromatica che si sposa perfettamente anche con la tragicità di quello che si racconta.
Ora, immaginiamo pure di colorare quella foto, quali tonalità sceglieremmo? In fondo non sarebbe tanto diversa, perché fra il colore delle divise nere o di un verde scuro; i cappotti e i capelli del pubblico (non sempre propriamente ariano), tutto sarebbe comunque naturalmente tetro, come si deve all’epoca dei totalitarismi.
È un bel gioco pensare a quali tonalità di colore assoceremmo a ogni epoca storica. Di che colore sarebbe l’impero romano? L’Egitto di Tutankhamon? Gli Stati Uniti di Trump? La Cina degli anni Ottanta?
La Cina scopre i colori
Ho pensato a tutto questo leggendo un bell’articolo uscito una settimana fa sulla Lettura del Corriere della Sera. Secondo il sinologo Maurizio Scarpari, che ha insegnato Lingua cinese classica all’università Ca’Foscari a Venezia, in Cina fino agli anni Settanta i colori dominanti erano «le diverse tonalità di grigio, il blu e il verde delle vesti-uniformi della gente comune e dei funzionari e il nero delle migliaia di biciclette che scorrevano (…) tra le rarissime automobili istituzionali». «I colori più accesi, come il rosso e il giallo-oro imperiale, (…) erano riservati ai poster e ai manifesti di propaganda politica».
Negli anni Ottanta, il venir meno della spinta ideologica e il diffondersi di un maggiore benessere «favorirono un’esplosione di colori, sprigionando quella voglia di spensieratezza troppo a lungo repressa. Le tinte vivaci presero allora il posto di quelle più tenui, e il colpo d’occhio fu impressionante».
Mi piace questa idea di raccontare il cambio di un’epoca, di mentalità e di possibilità, attraverso i colori che dominavano il tempo e che magari ci sono stati restituiti nei quadri, nei manifesti, nei documenti e, più di recente, anche nelle fotografie o nei video.
Tonalità
La nostra vita si forma attraverso la scelta dei colori, che è poi uno dei primi gesti che facciamo da bambini. Ed è anche uno dei primi influssi che riceviamo, più o meno consapevolmente.
Negli ultimi tempi si è discusso molto su come l’utilizzo di particolari colori – l’azzurro per i maschi e il rosa per le femmine – rischi di perpetuare gli stereotipi di genere. Anche questa è in fondo una costruzione recente, visto che per gran parte della storia i bambini erano semplicemente vestiti di bianco, e l’azzurro era un colore perfettamente femminile, dato che si associava alle vesti della madre di Dio.
Comunque, penso sia un bell’esercizio immaginare quali tonalità descrivano al meglio la nostra vita in questo momento, non solo esteriormente intendo, e cosa dovremmo fare per esplodere sempre di colori, come se fossimo fuochi d’artificio. Tu di che colore sei?
Nel blu
Fra le tante storie in cui un colore si è trasformato in un’ossessione, la mia preferita è quella di Yves Klein, un artista francese vissuto nella prima metà del Novecento. Ha passato gran parte della sua vita – è morto a 34 anni per un infarto del miocardio – cercando di costruire il blu perfetto.
L’idea era di riuscire a rendere su tela la luminosità del colore, senza che fosse alterato dai leganti chimici che erano utilizzati ai tempi. Ma la sua non era soltanto una questione tecnica. Era una concezione filosofica che si inseriva in una idea molto più ampia.
Cresciuto a contatto con l’artista e scultore Arman e il poeta Claude Pascal, aveva scoperto le filosofie orientali attraverso il judo e si era formato con l’ordine segreto dei rosacroce.
I colori per lui erano come «esseri viventi» ed era ossessionato dalla volontà di creare una continuità fra le sue tele e il cielo.
In una delle sue performance artistiche più famose – e più intensamente erotiche – tingeva di blu delle modelle nude e le faceva muovere sulle tele bianche, dicendo di riuscire così a raccogliere frammenti di vita.
Erano gli stessi anni in cui due giovani compositori italiani portavano al festival di Sanremo una canzone in cui immaginavano di volare nel blu. Nel blu dipinto di blu. Forse con un po’ di fantasia, qualcuno ha immaginato che le due vicende fossero collegate e che Domenico Modugno avesse in mente Yves Klein, senza modelle nude, ma con una versione nazionalpopolare e perfettamente intrisa nel bigottismo dell’Italia del tempo.
Per questo episodio è tutto,
Daniele