C'è ancora tempo?
Fino a quando possiamo prendere decisioni per cambiare la nostra vita? Come dobbiamo comportarci nei confronti dell'inaspettato e di questa ansia apocalittica che ci circonda?
Cari amici dell’orso Bruno,
Negli ultimi tempi mi è capitato di prendere alcune decisioni dirompenti e più o meno sempre mi sono trovato ad affrontare questa domanda: «Quando è troppo tardi per cambiare la propria vita?».
Non lo dico in modo astratto, in un paio di occasioni ho davvero cercato su internet, come se Google potesse avere la risposta adatta anche per la mia situazione. Credo che avvicinandosi ai quarant’anni succeda questa cosa di sentirsi alle prese con una serie di scadenze, che molte volte non derivano troppo dalla propria aspettativa o da oggettivi limiti biologici, ma da quello che ci viene inconsciamente imposto.
La sensazione di essere tutti in ritardo per qualcosa è il modo in cui la crisi della mezza età si manifesta. Poi - tecnicamente - visto che qui in Trentino l’aspettativa di vita è di 84,6 anni, la mezza età la raggiungerò a 42,3 anni. Quindi almeno in questo sono in anticipo. Di quasi cinque anni.
Avere due anni
Qualche settimana fa mi è capitato di giocare a nascondino con una bimba di due anni. Nascosti contro il bordo di uno scivolo è come se avessi visto nel suo sorriso tutta la potenza delle possibilità. Io non so se esista davvero una forma di energia che possa irradiarsi nel contatto fra due generazioni che confinano fra loro.
Ma è come se crescere significasse cedere un poco delle proprie opportunità, vedendo negli altri il futuro che nessuno di noi potrà mai realizzare.
Non riuscirò mai a diventare un astrofisico. La storia del mio primo bacio è già stata scritta. Non parteciperò alle olimpiadi e non scoprirò la cura per il cancro.
Ma potrà farlo lei. O forse no e andrà bene lo stesso. Perché non è che tutto debba essere sempre perfetto se si immagina il futuro di qualcuno. Anzi, si dovrebbe sempre mettere in conto gli errori che le capiteranno di fare.
Il punto sta tutto in questa frase di Philip Roth, tratta da uno dei suoi libri più belli:
«In quanta stupidità dobbiamo calarci per giungere alla nostra meta, quali sconfinati errori bisogna saper commettere! Se qualcuno te lo dicesse prima, quanti errori dovrai fare, tu diresti no, mi spiace, è impossibile, trovatevi qualcun altro; io sono troppo furbo per fare tutti quegli errori».
«E loro ti direbbero, noi abbiamo fede, non preoccuparti, e tu diresti no, niente da fare, avete bisogno di uno molto più (…) cretino, ma loro ripeterebbero che hanno fede in te, che tu ti trasformerai in un cretino colossale mettendoci un impegno che neanche ti immagini, che farai sbagli di una grandezza che neanche te li sogni... perché è l'unico modo di giungere alla meta».
La scommessa
Il fatto è che dal Covid in poi siamo entrati in un’epoca apocalittica, in cui il futuro è sempre e comunque immaginato come un’enorme macchia nera. C’è la crisi climatica, la guerra che incombe, magari pure qualche altra pandemia e – se non stiamo attenti – ci piomberà addosso un asteroide. Si alzano i tassi d’interesse e tutta la ricchezza sta in mano a pochi (e non siamo noi). Che ragioni ci sono per essere ottimisti per noi e per i nostri figli?
Intendiamoci: il partito del pessimismo ha delle motivazioni convincenti per diventare maggioritario. Lo storico francese Stéphane Audoin-Rouzeau, intervistato da Marco Mondini una settimana fa sulla Lettura – l’inserto culturale del Corriere della Sera – ha sostenuto che gli europei sembrano tornati ai tempi della vigilia della Prima guerra mondiale, quando sembravano dei sonnambuli, incapaci di accorgersi di quello che stava capitando attorno a loro e su quali binari si fosse già messa la Storia.
Ma se dovessimo fare una scommessa con la vita, come quella che faceva Blaise Pascal su Dio, l’ottimismo ha delle ragioni per imporsi. Non è che per forza debba finire tutto bene, ma non c’è motivo per scommettere sul fatto che andrà tutto male.
Anche perché non è che subiamo per forza il destino, anzi siamo parte attiva di quello che ci capita. E quando smetteremo davvero di avere delle possibilità, a definirci sarà quello che abbiamo fatto, non quello che abbiamo subìto.
«Devi vivere la vita con la convinzione che le tue azioni resteranno. Siamo creature che hanno delle conseguenze. (…) Oh, le azioni resteranno. Amico mio, è semplicemente questione di ciò che farai quando la fortuna ti volta la schiena. Quando la grassa signora canta, borbotta. Sarà in quel momento che saremo definiti dalle nostre azioni. E non fa nessuna differenza se sarai protetto da Allah, Gesù, Buddha o non sarai protetto affatto. Nei giorni freddi un uomo vede il proprio fiato, nei giorni caldi no. Ma l’uomo respira in entrambe le occasioni».
Percorsi
Mi è capitato di riflettere sulle possibilità che restano e sul modo in cui può cambiare la vita all’improvviso una settimana fa, nel cuore della notte, a letto, mentre la mia stanza era illuminata dalla luce flebile proveniente da alcuni braccialetti luminosi, piegati per formare degli occhiali.
Uno dei miei migliori amici si era appena sposato. In un certo senso, aveva promesso di dare un taglio netto ad alcune delle sue possibilità, per costruirne altre con una persona accanto.
Ma in questi momenti mi capita spesso di pensare alle banalità e a rifletterci sopra, come se fossero grandi rivelazioni. Stavo pensando al fatto che due persone che hanno deciso di vivere la vita assieme, qualche tempo prima neppure si erano mai parlate.
Avevano sognato, avevano pianto, avevano riso, si erano ubriacate e avevano ballato, insomma avevano vissuto, senza sapere che a un certo punto ci sarebbe stato un «prima» e un «dopo» loro due. Per una volta non erano né in anticipo né in ritardo su niente, erano semplicemente dirette a quel punto in cui tutte le direttrici sarebbero coincise, come se fosse una corsa con un unico punto d’arrivo.
Il tempo
La retorica del “non è mai troppo tardi” si regge sulla stessa ipocrisia di qualsiasi frase tanto generica da essere per definizione fallace.
Ma è l’esperienza a dirci che i cambiamenti possono capitare, o possiamo farli capitare, in qualsiasi momento. E così le nostre decisioni migliori sono quelle che prendiamo scegliendo di smollare il freno, di correre il rischio, di fare senza una vera sicurezza che andrà tutto come avevamo pianificato.
Forse è troppo tardi per molte cose, ma c’è ancora un’infinità di tempo per fare dei tentativi e vedere come va. A qualsiasi età.
Per questo episodio è tutto,
Alla prossima settimana,
Daniele
So che non sei d'accordo, ma - a proposito del futuro collettivo - se "siamo parte attiva di quello che ci capita", la disfatta è imminente.