Bello Sanremo, ma chi è questo Geolier? Appunti da un mondo senza sonno
Prima che si torni a parlare di altro, metto insieme gli aspetti che mi hanno interessato di più in un festival costruito per creare incomprensioni. Poi vado a dormire
Cari amici dell’orso Bruno,
Questa volta la newsletter arriva in ritardo per colpa di un jet lag, dovuto non da un viaggio fisico, ma da una maratona durata una settimana, anzi forse anche di più se si considerano tutti i giorni di preparazione. Ho dormito poche ore negli ultimi giorni e quindi non aspettatevi il massimo della lucidità.
La maratona è quella che mi ha portato a seguire il festival di Sanremo per lavoro, non lì dalla sala stampa - quello rimane un traguardo ancora da raggiungere - ma in “smart working”. Raccontando però quello che succedeva come se fosse la cosa più importante al mondo; e per molti aspetti è davvero l’unica cosa che conta in questi giorni. Mentre tutto il resto non sparisce, ma viene messo più sullo sfondo.
Bisognerebbe discutere se questo sia giusto – e in realtà lo si fa spesso, in un’eterna polarizzazione fra chi segue maniacalmente Sanremo e chi invece rivendica di non farlo. Se siete fra coloro che non ce la fanno più, chiudete questa newsletter, e torneremo a parlare di altro dal prossimo episodio.
Corto circuiti
Però l’ispirazione per Wake up Bruno! si basa spesso sulla mia curiosità verso certi fenomeni popolari e giovanili in particolare, soprattutto quando sono lontani dal mio mondo (e mi fanno anche un po’ orrore). E Sanremo è diventato uno specchio che riflette molto di questo.
È la vera rivoluzione che è stata fatta in questi anni. Lo share per i ragazzi fra i 15 e 24 anni ha raggiunto l’82 per cento. Ovviamente, è una percentuale che risente del fatto che i ragazzi normalmente la tv non la guardano (e quindi è difficile immaginare che guardino la concorrenza). Ma è indubbio che l’interesse fra i giovani sia cresciuto notevolmente.
Questo ha prodotto scientificamente anche dei corto circuiti, che non sono stati casuali, ma progettati e voluti. A Sanremo è stato creato un acquario dove si possono osservare riprodotte dinamiche che riguardano la cosiddetta “vita reale”, quella che spesso i giornali e le televisioni faticano a raccontare.
Da qui nasce anche lo scontro generazionale che da sempre investe la musica, con tutte le continue incomprensioni fra età diverse.
Il televoto
Questo si è visto quest’anno nello scontro fra la prima classificata e il secondo, presi come simboli diversi di intendere la musica. Sono ovviamente entrambe espressioni di fenomeni giovanili, non sono né Fiorella Mannoia né i Ricchi e Poveri.
Però Angelina Mango rispecchia canoni più facilmente decodificabili. Geolier è invece più complesso e quindi divisivo.
Da qui nasce anche il confronto fra il risultato del televoto e quello finale, che è stato mediato dalle radio e dalla sala stampa. Geolier ha preso il 60 per cento dei voti da casa, Angelina Mango il 16 per cento.
Andrea Alemanno - manager di Ipsos - ha scritto sul Corriere della Sera che talvolta si tende a immaginare il televoto come la massima espressione popolare, ma non sempre è così.
«Il televoto, sia pur nella sua ecumenicità, tende ad avere dei fattori distorsivi», ha scritto. «Intanto premia i cantanti più famosi e quelli più in grado di generare attivismo tra i fan, ossia chi ha partecipato a più contest televisivi. Spesso si genera un attivismo “localista”, se l’artista è sostenuto da un territorio e lo riesce ad interpretare».
«Infine, quanto più artista e case discografiche riescono a pubblicizzare il pezzo, sui media tradizionali o sui social, tanto più facile sarà raccogliere televoti. Spesso è un voto più sull’artista che sulla canzone».
È un punto da tenere bene presente mentre ci inoltriamo nel racconto del caso vero di quest’anno.
Una barriera
Dunque, Geolier. È un rapper di 23 anni, che ha per sua natura una barriera che lo divide dal resto del pubblico: è non è tanto, o non solo, l’aspetto linguistico.
La musica non può essere presa solo per un suo dettaglio. È tutto il pacchetto del fenomeno Geolier che costringe (ancora) alla polarizzazione: al fatto che ci sia un mondo che lo odia perché non lo capisce, ma anche un mondo che lo ama. E che l’avrebbe spinto all vittoria.
Il punto è dunque questo: perché piace tanto Geolier? Il sospetto, vagamente razzista, che ci siano stati brogli al televoto è facilmente smentibile. Basta guardare ai dati di ascolto su Spotify, dove infatti Geolier si conferma primo. Anche quelli sono truccati?
Napoli
Napoli da sola non può spiegare questo successo. Lo racconta meglio un parallelismo con l’anno scorso, quando Lazza era arrivato anche lui secondo.
Ma Napoli è comunque parte della spiegazione. La si trova in quel senso di rivalsa, che è tipico della vita di strada, ma che poi – per traslazione – coinvolge tanti adolescenti da tutta Italia e di qualsiasi estrazione sociale.
Napoli che diventa uno stato d’animo (so che suona retorico) e un fenomeno culturale giovanile, che rivive in artisti come Liberato, in serie tv come Mare Fuori, persino in TikToker-imprenditori come Donato De Caprio e New Martina (ne avevo scritto in questa newsletter). E ora in Geolier.
Paradossalmente, ci viene più semplice immaginarlo per i ghetti negli Stati Uniti, dove l’hip hop è nato e ha poi conquistato il mondo intero. Vederlo realizzarsi qui, che sia a Rozzano o a Secondigliano, fa perdere l’orientamento. Anche la classifica di un festival musicale diventa dunque uno scontro fra tifoserie.
La rivoluzione
I tifosi che perdono possono fischiare l’avversario, come è successo venerdì all’Ariston (e in parte anche durante la finale di sabato). Possono offendere con stereotipi territoriali, come è successo sui social. E i giornali possono poi ingigantire piccole nicchie di cyberbullismo, contribuendo a falsarne la percezione.
Però in realtà Geolier ha scalato la classifica (soprattutto del televoto) perché è l’espressione più naturale della rivoluzione di Amadeus. In passato, il festival era una cassa di protezione, dove si poteva accedere solo se si rispettavano alcuni criteri: i testi d’amore e i canoni musicali della musica leggera.
Amadeus ha voluto riconnettere il festival con una generazione che prima veniva ignorata. Quella generazione ha risposto in massa, votando per i propri beniamini (e sì, magari anche usando qualche sim in più, pur di far valere la propria voce).
Le rivoluzioni normalmente lasciano delle vittime. Per fortuna questa è solo musica. Domani inizierà un’altra settimana e il rumore delle polemiche sarà sempre più basso, mentre le canzoni continueranno a suonare nelle radio. E ognuno sceglierà la propria vincitrice.
E l’innovazione
Angelina Mango aveva una canzone che non sembrava costruita a priori per vincere, ma poi lo ha fatto. Sembra una tendenza molto diffusa, che ha dato vita a una gara nella gara, che conta forse di più: quella dei tormentoni (che si traduce ovviamente nel potenziale economico di una hit).
Il critico musicale Ernesto Assante, su Repubblica, ha scritto che ormai lo stile tipicamente sanremese non è più predominante.
«La maggior parte delle trenta canzoni in gara non rimanda direttamente al formato classico, puntando invece a qualcosa che fino a poco tempo fa era considerato come genere prettamente estivo e che invece, ormai, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, si è allargato ad ogni mese e ad ogni stagione», ha spiegato.
Con questa tendenza a Sanremo non esistono più le mezze stagioni: anzi, non esistono proprio più le stagioni, è estate sempre. La cumbia della noia è innanzitutto un prodotto commerciale – detto senza né infamia né lode. Il fatto che abbia vinto è un altro dato che fa capire come è stato costruito questo festival.
Dal punto di vista editoriale, Amadeus ha tentato con il suo team una strada molto rischiosa. Ha scelto di smontare molto della liturgia del festival, che comunque funzionava, ma era ormai destinata a impolverarsi sempre di più.
Ma è solo la strada dell’innovazione - quella degli esperimenti, del rapporto con il digitale e del rischio che qualcosa non funzioni - che porta risultati. E non solo a Sanremo.
Sogna, ragazzo
Poi ovviamente ogni appassionato del festival avrà il suo ricordo, il suo momento preferito o il suo segmento in questa indigestione di contenuti.
Per quanto mi riguarda è stato il duetto fra Alfa e Roberto Vecchioni. È stato l’opposto di tutto quello che abbiamo indagato finora - la dimostrazione che il rapporto fra generazioni può diventare anche un incontro, non solo un duello (e di Alfa vi avevo già parlato in un’altra newsletter).
In un certo senso, questo confronto fra il maestro e l’allievo è diventato come il confronto del padre e del figlio in un famosa canzone di Cat Stevens. Fra chi ha l’esperienza e chi ha un mondo di sogni da realizzare.
«Chiudi gli occhi, ragazzo / E credi solo a quel che vedi dentro / Stringi i pugni, ragazzo / Non lasciargliela vinta neanche un momento (…) Lasciali dire che al mondo / Quelli come te perderanno sempre / Perché hai già vinto, lo giuro / E non ti possono fare più niente / Passa ogni tanto la mano / Su un viso di donna, passaci le dita / Nessun regno è più grande / Di questa piccola cosa che è la vita».
Per questo episodio è tutto,
Ci rivediamo nella vita normale, senza più festival
Daniele
Dammi 15 secondi del tuo tempo
Care amiche e cari amici dell’orso Bruno, (15 secondi) Vorrei mettermi a cronometrare quanto tempo impiegherò a scrivere questa newsletter, (14 secondi) per poi riflettere sul fatto che a voi - quelli di voi che saranno così tenaci da arrivare in fondo -