Vorremmo avere tutti un ascensore
Girando per la fiera dei libri di Roma ho ragionato sulle leggi del caso. Facendomi ispirare dalla storia della Keller, una piccola casa editrice indipendente
Cari amici dell’orso Bruno,
Venerdì sono andato alla fiera dei libri di Roma - Più libri più liberi - per la prima volta. O meglio: è stata la mia prima fiera in assoluto, non sono mai stato né a Torino né a Milano. Credo di avere due considerazioni generali, abbastanza empiriche, e apparentemente in contraddizione:
si stampano troppi libri di merda;
siamo tutti in eterno ritardo sulla vita e non avremo abbastanza tempo per recuperare invece tutti i libri meravigliosi che ci stiamo perdendo.
Dal mio punto di vista, mi ero fissato un budget di riferimento e l’ho superato solo di poco. Sono tornato a casa con:
un libro (un fumetto) che volevo prendere da tempo;
due libri che mi hanno attirato in fiera e non avrei scoperto altrimenti;
e due libri di storia antica (uno su Alessandro Magno e uno su Antonio e Cleopatra) che avevo già notato nella mia bolla costruita ai tempi dell’università.
Cinque libri in totale.
Mentre ero sulla metro che dall’Eur - e dalla Nuvola di Fuksas - viaggia verso Termini, ero felice, anche se col cuore un po’ spezzato per altre storie della vita. Pensavo di avere dato il mio piccolo contributo all’industria culturale e pure raccolto un paio di idee per le newsletter del prossimo anno. Poi però mi sono messo a sfogliare Facebook.
Le piccole librerie
E mi sono imbattuto in un post. Era stato scritto da un’associazione di librerie romane che si lamentava del fatto che la fiera dei libri a Roma si tiene a dicembre.
Il punto è semplice: se chi ha un budget a disposizione per comprare dei libri lo fa lì, comprando direttamente alle bancarelle degli editori, quei soldi non finiscono più alle librerie. Le librerie dunque si trovano depredate di una fonte importante di reddito, in un momento particolare - quello prima di Natale - in cui guadagnerebbero più del solito. Basterebbe spostare la fiera in un altro momento dell’anno per risolvere il problema.
Ho guardato la mia borsa di tessuto, resa pesante dai miei acquisti, e mi sono sentito un po’ in colpa. Poi ho pensato che una buona parte dei miei libri li prendo su Amazon e quindi il mio senso di colpa si è allargato. Se dovessi trovare un primo buon proposito per il 2024 è quello di riuscire a spendere un po’ meglio i miei soldi.
Vorrei scoprire una piccola libreria a Roma e un’altra in Trentino e lì comprare tutto. Poi ho pensato che invece dovrei semplicemente imparare a risparmiare un po’ di più.
Che mentre mi metto in testa di salvare il mondo da solo, ci sono pochi lì fuori disposti a salvare me.
La passione
Girando per una fiera di libri come quella di Roma si ha la sensazione di vedere - in maniera fisica - la strana realtà dell’editoria. C’erano bancarelle piene di persone, in coda per l’Adelphi, Iperborea e Laterza; c’erano piccoli editori che se ne stavano da soli, in attesa che qualcuno si fermasse anche un po’ da loro.
Mi sono chiesto quanta passione ci voglia per andare contro le leggi del mercato, cercando di fare per forza quello che si vuole fare, anche se questo significa rischiare il fallimento. Poi mi sono ricordato che faccio il giornalista. I miei primi articoli li pagavano 4 euro lordi, in parte spesi per i contributi a una pensione che non vedrò mai.
Ci vuole davvero tanta passione. Quanto sareste disposti a spendere per continuare a leggere questa newsletter se fosse a pagamento? E se la trasformassi in un libro?
E il cane
Allora, la mia persona preferita di questa fiera è stata una ragazza sconosciuta. L’ho vista aggirarsi per tutte le bancarelle, per dire che stava studiando editoria all’università e che avrebbe voluto fare qualche esperienza. Un uomo di quarant’anni e quaranta capelli le ha detto di inviare il suo curriculum, ma che entrare in una casa editrice è praticamente impossibile. E no, sembrava dirle, non sarebbe stata lei a cambiare le cose.
Al secondo piano il giornalista Ernesto Assante di Repubblica stava intervistando il cantautore Mirkoeilcane. Lui ce l’ha fatta, è persino stato a Sanremo, e ora sta promuovendo un nuovo album in cui ha cantato le sue storie. «Ma ho un sacco di amici che meriterebbero di essere primi in classifica», ha detto. «Invece se ne stanno in un ufficio a fare le fotocopie».
Riuscire a farcela è sempre una questione di culo, prima che di bravura. La strada per il fallimento è la sola in discesa. E si fanno troppe fotocopie al mondo.
La Keller
La Keller è una piccola casa editrice trentina. Il suo stand a Roma era pieno di persone che semplicemente sfogliavano qualche pagina, per poi mettere - più o meno meccanicamente - la mano al portafoglio.
Roberto Keller ha studiato Lettere a Milano e poi ha fatto un po’ di esperienza nella casa editrice Marcos y Marcos. Nel 2005 è tornato in Trentino - dove era nato - perché sentiva la mancanza della sua terra. Ha iniziato a costruire la sua casa editrice indipendente partendo da pochi libri, cercandoli in paesi stranieri e perlopiù nel cuore dell’Europa.
In sostanza, la Keller è una casa editrice costruita come una bottega artigiana. Poche persone che danno forma a quello che amano, cercano un pubblico di riferimento e costruiscono - giorno dopo giorno - le loro relazioni, per poi monetizzare una passione.
E poi sì, c’è stata anche la botta di culo - che nell’editoria italiana è diventata quasi un mito. Nel 2009 la scrittrice Herta Müller ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Uno dei suoi libri più famosi - Il paese delle prugne verdi - era edito proprio da Keller. All’improvviso un piccolo artigiano si è trovato al centro dell’attenzione nazionale.
In un’intervista a Maremosso, lo ha raccontato così:
«Ai tempi applicavamo a mano una speciale etichetta sui libri, era un procedimento lungo e delicato. Dovendo far fronte a decine di migliaia di richieste fummo letteralmente travolti».
«E il ricordo più commovente per me è il fatto che decine e decine di persone sconosciute si presentarono da noi per dare una mano. Un’azienda locale chiuse le proprie porte e mandò i suoi operai da noi per aiutarci a smaltire le richieste. Una testimonianza d’affetto enorme da parte della nostra comunità».
Vivere per il caso
In questi giorni mi sono trovato a ragionare molto sulle leggi del caso, parlandone con persone a cui tengo molto e che - in modi diversi - stanno prendendo nuove direzioni nella loro vita.
Mentre tornavo dalla fiera, camminando verso casa con il sole di Roma che veniva raffreddato dal vento, credo di avere capito che l’errore più grande è pensare che l’incertezza sia per forza un incubo da evitare. Keller dice che la gente di montagna è abituata a camminare in salita, pur di raggiungere la vetta.
Vorremmo avere tutti un ascensore, una scala mobile che ci possa portare in alto. Oppure solo una visione di quello che sarà il nostro futuro, per capire se ne è valsa la pena. Ma l’unica cosa che possiamo fare, intanto, è meritarci un po’ di fortuna. In attesa che capiti a noi, basta continuare a camminare.
Per questo episodio è tutto,
Daniele
Non so se il caso abbia avuto un qualche ruolo nel Nobel. Direi che la Keller ha sempre cercato la qualità.
Sul piano personale alcune cose bellissime mi sono capitate per caso.
Sono tra i pochi là fuori che ti salverebbero.